Storia e cultura
In questa sezione sono contenute le informazioni storiche, culturali e naturalistiche relative al territorio del Comune di Marmentino.
Ultima modifica 23 maggio 2024
Le origini del comune
Quando e come si sia costituito il Comune è impossibile dirlo perché mancano i documenti relativi, ma secondo la tradizione locale il comune si sarebbe costituito per la disposizione testamentaria o donazione delle famose “ Donne di Fusio “ che sul principio del secolo XI (anno 1002) avrebbero donato alla primitiva Vicinia di Marmentino tutte le montagne pascolive e boschive che costituiscono ancora i vasti e ricchi possedimenti comunali.
Corre ancora per l’alta Valtrompia e la vicina Pertica il nome e la tradizione di queste misteriore “ Donne “, signore di alto rango e munifiche benefattrici dellè comunità di Valle Sabbia e specialmente dei due comuni di Marmentino e di Navono.
Anzi si afferma che queste donne sono quelle rappresentate nell’affresco quattrocentesco della Crocifissione, che si vede ancora, sebbene alquanto scalcinato, sulla parete della chiesa parrocchiale di Marmentino, sotto quell’elegantissimo portichetto primitivo che è un gioiello di semplicità e grazia architettonica e l’unico avanzo dell’antica chiesa quattrocentesca di S. Cosma.
Il popolo ha identificato le pie donne del Calvario con le sue stesse leggendarie “ Donne di Fusio “ fissando la tradizione locale perfino in un notissimo elemento storico della Passione di Cristo. Il Cominazzi anzi aggiunge, su testimonianza di un sig..Borghetti, che le donne di Fusio sarebbero rappresentate anche sulla pala dell’altare del S. Rosario. Ma chi erano mai e che cosa hanno fatto queste Donne o Signore per guadagnarsi una fama così larga e duratura nelle tradizioni popolari valtrumpline e valsabbine?
Alcuni documenti dell’archivio di Marmentino, ripetuti in altri archivi dei paesi circostanti ma sempre in copie tardive, riferiscono alcuni spunti del testamento fatto il 12 luglio dell’anno 1002 (siamo adunque poco dopo il misterioso anno mille!) “dalle M. M. illustri q. q. Bone Femmine de Fusio “ le quali avrebbero disposto del loro vastissimo patrimonio montano nel seguente modo, che riferisco testualmente dal citato documento:
- Alla sacrestia della pieve di Vobarno il Monte Natalone;
- Alla Villa della Nozza il Bosco comunale con l’obbligo di un sacrificio ( Messa );
- Al comune di Vestone il luogo di Brasses con l’obbligo annuo di due tordi ( o merli ) al parroco di Toscolano in perpetuo;
- Al comune di Anfo il Monte Beus e casa nei confini di Bagolino con l’obbligo di dare Pani 13 e Pesi 2 di olio bono per fogo ( a ogni famiglia );
- A Belprato e Avenone i loro monti;
- A Llivemmo il Monte Bas;
- A Navono,.Udine ( Odeno ) e alla villa di Marmentino i monti entro i loro confini ( Monte Ario e adiacenti ) con l’obbligo che questi diano il latte di un giorno del mese di giugno ai Curati delle loro Villette, cioè ai due parroci di Marmentino e Lavino. ( copia del notaio Alessandro Flocchini ).
Difatti ogni anno, nei primi giorni di luglio, il parroco di Marmentino sale al monte Ario a benedice le mandrie che hanno iniziato l’alpeggio su quell’altipiano pascolivo, e secondo una consuetudine antichissima sanzionata in numerosi documenti, dispensa ad ogni mandriano un grosso pane di frumento e una tazza di vino, ricevendone in cambio tutto il latte di quella giornata, lavorato in burro e formaggio.
I documenti richiamano sentenze e transazioni precedenti del 2 aprile 1210, del 16 settembre 1464, del 15 luglio 1507, del 1537 e seguenti, nelle quali si parla di testamenti e compromessi più antichi intorno a queste consuetudini, che riflettono una storia millenaria e si conservano ancora inalterate.
Chi furono queste generose benefattrici? il mistero più impenetrabile ne avvolge la personalità e la storia; si tratta di due o più donne o di una sola signora, di nome Bonafemina, che rimasta unica ereditiera di un vastissimo territorio montano, pascolivo e boschivo, ne ha voluto beneficiare le comunità e le chiese di esso ?
Ovvero c’è in queste consuetudini un riflesso leggendario della costituzione del patrimonio comunale e degli oneri di decima che li gravavano a favore delle chiese e degli enti ecclesiastici di beneficenza?
Sono problemi che si affacciano per conoscere le origini di queste tradizioni locali, e che non possono che avere una soddisfacente spiegazione se non da documenti che ora mancano.
È probabile che queste elargizioni di pane, di olio, di danaro, di latticini risalgano, come molti altri consimili legati, a fondazioni testamentarie, ma non si può pensare a un originario testamento collettivo di varie donne perché il testamento è sempre stato un atto personale e individuale.
Fusio è una località ora disabitata tra Navono e Odeno, alle scaturigini del torrente Tovere (Tuèr da torrens) che alimentava una volta una fucina, di cui restano gli avanzi; quivi erano certamente opifici primitivi della piccola industria siderurgica locale, nella quale si resero famosi e assai ricchi gli Alberghini di Fusio.
Che appartenessero forse a questa famiglia anche quelle misteriose “ Donne di Fusio “?
Il Comune Marmentino ebbe sempre il pacifico possesso dei suoi diritti sul monte Ario e sulle due cascine denominate il pian del bene sul versante della Val Sabbia e Col di croce sul versante Irma-Bovegno; ma i due comuni di Navono ( Lavino) e di Odeno, che avevano separato le loro quote di pascoli e di boschi, ebbero sempre delle vertenze, che sono accennate nei registri di documenti ora scomparsi .
Un altro compromesso fra i due comuni di Navono e di Odeno luditium supra montes de Odeno et Navono, venne conchiuso dall’arbitro notaio Pasino Framboldi nel 1537, ma non se ne conosce il testo. Avrà probabilmente confermato di nuovo i precedenti atti e le consuetudini antichissime ancora in uso, e conservate con quel tenace spirito di consuetudini locali che è caratteristico in montagna.
Scritti, libri e cultura
Elena Pala Z., "Il secolo breve di Marmentino. Donne e uomini tra guerra e pace: testimonianze, fotografiee carteggia dal fronte", La Compagnia della stampa", Brescia 2006, pp. 496.
"Un libro sul paese scritto dal paese, secondo la regia ordinata e gioiosa di Elena Pala Zubani, ricercatrice senza fatica per sentirsi soddisfattta nell'aria degli archivi, e nell'aria del paese.
"Il secolo breve di Marmentino" è la grafia di ogni famiglia di Marmentino, la lettera dal fronte, la fotografia dell'infanzia, dei battesimi, dei matrimoni, dei funerali, delle processioni, di chi è andato e venuto dalle miniere del Dopoguerra, l'epopea dal 1900 al 1959. Cinquantanove anni aritmetici, però, nella sostanza, secoli di mutamento, dalla vita solitaria in cui si parlava col prossimo, con se stessi, con il pascolo, con i passi nel bosco importanti come testamenti, alla vigilia lunga, ma emotivamente quasi improvvisa, delle giornate di Internet in malga. Un secolo breve con guerre sconfinate nel tempo e nell'altezza delle pire di giovani spariti nelle trincee dei monti e poi sui fronti del mondo.
Il sottotitolo è pianemnte il titolo: "Donne e uomini tra guerra e pace: testimonianze, fotografie e carteggi dal fronte". Questo libro è la carta d'identità della comunità di Marmentino. Un libro da prendere nei viaggi della vita, da presentare ai newyorkesi, ai cinesi, agli indiani. Non è necessario conoscere l'italiano o quel dialetto italianizzato delle lettere dell'anima, pensate, scritte e inviate dai marmentinesi dal fronte, per cogliere l'universalità nell'esperienza del dolore e della speranza, dell'andar via e del ritorno.
Le decine e decine di immagini raddoppiano lo studio accurato della dott. Elena Pala, certificano la ricerca come contributo di tanti, la necessità morale di non rimanere fuori dallo studio del proprio passato, dalla responsabilità di un'appartenenza ad una terra, che, replicata nelle diversità per cento volte, è la nostra terra, e, per un milione di volte, è il mondo.
Il prof. Sandro Fontana, originario di quella terra, legato ad essa per natura e luogo più vicino ai suoi morti, spiegava, il giorno di un'estate avanzata, nella chiesa parrocchiale, davanti alla comunità intera, il miracolo dei montanari alpini, i quali seppero riprodurre, nei pochi metri di fango in trincea, il paese nella sua lingua, nei muli, nel genio di leggere la montagna, le nuvole, il temporale e la neve. E lessero lo svolgersi del vento che portava l'odore del nemico, contribuendo a salvare loro la pelle. La replica nelle trincee di Marmentino formò l'intelligenza resistenziale, ricostruendo, idealmente e non solo, i gruppi di stalla, i racconti nella lingua madre, la pulizia delle contrade. La trincea fu sagrato e fango, elmetto e malga, guerra e pace.
Elena convoca sindaci e maestri con delibere e pagelle, notai e parroci con intestazioni e benedizioni, reduci e segretari con epistole e segreti, e li porta avanti, superando le asprezze fasciste, che ridussero le autonomie; infine, accompagnando a casa, per mano, i poveri cristi delle russie, rimettendoli nei campi, nelle prime fabbriche, nei cori alpini e di chiesa, vestendoli dei maglioni e dei primi sci pesanti un macigno.
Marmentino, spiega l'autrice, è un paese particolarmente istruito, alfabeta in grammatica e coraggiosamente alfabeta nello spirito e nei sentimenti. Il suo libro cresce per la sua acuminata passione, per una vocazione, che hai o non hai, a riunire le persone intorno a un'idea, a trascinarle, a congiungersi nelle istituzioni per cantare le parole della storia degli umili. La quale, spiegata per bene e ripetuta, capitolo dopo capitolo, libro locale dopo libro locale è l'ipotesi storica più prossima alla verità. A meno che i geni della sintesi della macrostoria non ricomincino a mettere in parentesi il sangue perso di milioni di persone, il dolore e le attese di milioni di madri, la ricostruzione eroica e taciuta spesso di milioni di donne e uomini. E l'orfanità di milioni di bambini cresciuti orfani. A meno di un'altra dimenticanza del genere, colpevolissima come una pugnalata, diremo che gli umili, questa volta di Elena Pala, sono quelli che fanno la storia. Chi si scrolla di dosso gli umili dalle spalle, come forfora, è un bluff cromosomico di cellule imbiancato come i sepolcri. Prima si immolano gli umili e poi si racconta la storia a prescindere dalle loro morti. A proposito: se troverete in giro dei nomi che fanno Gallia, Zubani, Fontana e giù di lì, guardate all'alta Valtrompia, sappiate che vengono da quella storia, sono i figli e i figli dei figli del Carso e di Caporetto, di Nikolajewka e di Cefalonia, passati dal patuss alle fabbriche, minatori, laureati, archivisti, eredi di un campanile non rinnegato. Che si ricordano delle Giardinette e delle Seicento parcheggiate intorno alla chiesa nei giorni della messa alta e della messa bassa, com'è nella copertina del libro amabile di Elena" (Tonino Zana).
Elena Pala Z., "Cultura e società a Marmentino (1877-1942). Il carteggio Zubani", Com&Print, Brescia 2004, pp. 274.
"Il Carteggio Zubani ruota intorno alla famiglia di Santo Zubani (1859-1935), segretario comunale e maestro elementare a Marmentino, piccolo centro dell'Alta Val Trompia (Brescia), poeta dialettale e collaboratore di alcuni quotidiani bresciani. Prima ancora, tipica figura di sollecito padre di famiglia tradizionale, quale emerge dall'immediatezza veritiera di questa corrispondenza, premuroso tanto nell'assicurare ai figli un futuro privo di incertezze, quanto nel trasmettere loro solidi valori di onesta operosità.
Il carteggio, di oltre mille pezzi, conservato quasi per intero presso l'Archivio Parrocchiale di Marmentino, rientra nell'interessante àmbito, oggi giustamente valorizzato, delle scritture "minori" dei generi più disparati, documenti di vario tipo, inventari, testamenti, diari, cronache, vecchi registri parrocchiali o di altre istituzioni, e lettere, che solo in anni relativamente prossimi hanno attirato l'attenzione degli studiosi: non solo in quanto utili a ricostruire quadri storici di più ampio respiro, con l'apporto di tessere, per così dire, provenienti dal basso, in un'ottica nuova e più mossa rispetto a quella della storiografia "alta", attenta solo o soprattutto ai grandi protagonisti, ma in quanto "testi" aventi essi stessi un loro valore autonomo, da studiare per i loro specifici contenuti, per la loro struttura, rispondente a precise codificazioni formali, e, non ultimo elemento di interesse, per la loro lingua.
Proprio i linguisti, accanto agli storici e agli antropologi, sono attualmente tra i più attenti e appassionati studiosi della scrittura comune, persuasi che questa rappresenti, per la lingua, una testimonianza non meno importante della letteratura. Per certi versi, anzi, la maggiore immediatezza e spontaneità degli scritti non letterari fa di essi documenti spesso più sicuri, più fedeli all'uso effettivo, qualche volta gli unici in grado di lumeggiare, almeno a tratti, situazioni altrimenti del tutto oscure.
È evidente, in questo contesto, l'importanza particolare rivestita dalle lettere, genere "minore" e privato più di altri, legato alla contingenza, e spesso all'urgenza, della vita concreta, e quindi più di altri sottratto a tentazioni di "bella scrittura", che, quanto più viene realizzata in seguito a riflessione, tanto più si allontana dalla verità dell'uso.
Il Carteggio Zubani, di ambiente piccolo borghese, relativamente benestante, non entra nell'universo popolare in senso proprio: ma ciò non toglie nulla al suo interesse.
Da queste lettere, dovute a vari corrispondenti e addensate soprattutto nell'arco di anni compreso tra il 1890 e gli anni Quaranta del secolo scorso, emerge uno spaccato significativo della vita e delle aspirazioni della classe media della provincia bresciana: attiva e tenace nella costante ricerca di migliorare la propria condizione, laboriosa, ottimista, e profondamente legata ai valori della famiglia, della fede e delle proprie tradizioni.
Le voci principali che qui si susseguono, oltre a quelle di Santo e della moglie Teresa Mazzoldi, sono quelle di tre dei loro quattro figli: don Franco, con lettere degli anni giovanili di studente a Brescia, e poi del servizio militare sui fronti della prima guerra mondiale, fino alla prigionia in Kenya, durante la seconda, testimoniata in sintetiche ed efficaci note di diario; Vincenzo (Cenzo), che lavorò per molti anni come chimico presso le miniere di Ingortosu, in Sardegna; Giuseppe (Peppino), volontario durante la Grande Guerra e morto giovane, di tubercolosi.
Spiccano tra tutte le lunghe, bellissime lettere dalla Sardegna di Cenzo, che si alterna, nello scrivere, con la moglie Teresa. Si leggono come un romanzo, che racconta dell'impegno, delle difficoltà, dei sacrifici e dei frequenti momenti di sconforto in un ambiente sentito così lontano ed estraneo, qualche volta ostile, dai due giovanissimi emigranti; ma che dice anche delle speranze e del calore affettuoso, che viene dal colloquio quasi quotidiano con i parenti lontani, e che alimenta la voglia e la capacità di andare avanti.
Si apprezza anche la scrittura, ricca, pastosa nelle lunghe e particolareggiate descrizioni dei luoghi, e spontaneamente efficace nel resoconto, spesso minuzioso, di una vita e di una mentalità così diverse da quelle del "Continente". (Piera Tomasoni)"